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RISE TO ADDICTION - "A New Shade of Black for the Soul"

RISE TO ADDICTION - "A New Shade of Black for the Soul"
(Full-lenght, Mausoleum Records, Maggio 2007)

Voto: 6/10

Genere: Power/Thrash

Line-up: Leigh Oates (voce), Steve Wray (chitarra), John Slater (chitarra), Joel Graham (basso), Aynsley Dickinson (batteria)


La moda del power-thrash introdotta ormai un decennio fa dagli ottimi Nevermore pare negli ultimi anni aver rallentato la sua diffusione; eppure questo trend sembra non essere sparito completamente e molto spesso ci si trova difronte a bands che tentano di emulare – fallendo miseramente – le gesta di Dane e soci (tra l’altro anche loro caduti in disgrazia con le ultime uscite).

Tante volte c’è invece chi, partendo da quelle sonorità, tenta di proporre qualcosa di leggermente diverso cadendo tante volte nella banalità. I Rise to Addiction fanno parte di questa categoria, ma riescono in parte a salvare il salvabile dando alle stampe un lavoro che, per quanto banale e di certo non esaltante, permette all’ascoltatore di arrivare fino alla fine senza troppi sbadigli, ma andiamo con ordine.
I Rise to Addiction si formano in Inghilterra nel 2004 dalle menti dei due chitarristi John Slater e Steve Wray noti ai più per aver fatto parte del progetto solista di Blaze Bayley (singer dei Maiden nel periodo dei fallimentari "The X Factor" e "Virtual XI").
Dopo un ep targato 2004, "A New Shade of Black for the Soul" rappresenta il debutto sulla lunga distanza del quintetto britannico, che si ritaglia il suo spazio di spessore all’interno della critica musicale internazionale subito pronta ad idolatrare la band oltre gli effettivi meriti. Quello che ci propongono questi Rise to Addiction non va oltre quanto già citato in precedenza, ovvero un roccioso power-thrash con cantato ultra-melodico con un alternanza piuttosto statica e prevedibile tra chitarroni di classica matrice americana e aperture heavy-melodiche in chiaro stile Blaze per l’appunto.
Il risultato è un album che non aggiunge nulla a quanto già prodotto da milioni di bands, ma che ha l’ unico merito di risultare meno tedioso rispetto alle previsioni.
In diversi punti non può non rinvenirsi anche un retrogusto moderno che riporta alla mente certe trovate tipiche del metalcore più "patinato" (Caliban, Bullet for my Valentine et similia tanto per intenderci…), trovate che molto spesso risultano di cattivo gusto e che abbassano la qualità dei brani.
Non stiamo dunque parlando di un album particolarmente esaltante, ma brani quadrati e decisi come "Cold Season" dotata di un riffing roccioso e tagliente per un brano che forse più di ogni altro si avvicina ad un concetto di thrash nel vero senso della parola o ancora ritmiche claustrofobiche, come si rinvengono in "Low", regalano un qualcosina in più in termini di originalità ed evitano una eccessiva monolicità della proposta.
Al tirar delle somme si tratta comunque di un lavoro troppo scontato, che sicuramente non dirà nulla agli appassionati del metal più tradizionalista.

Track-list:

01. A New Shade
02. Cold Season
03. Moth to a Flame
04. Falling as One
05. Low
06. One Sweet Minute
07. This Ride
08. Everlasting Wave
09. I Follow
10. To a God Unknown
11. Fessonia
12. The Hive

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