CELTIC FROST - "Monotheist"
(Full-lenght, Century Media, Maggio 2006)
Voto: 7,5/10
Genere: Doom/Gothic
Line-up: Thomas Gabriel Fischer (voce, chitarra, programming), Martin E.Ain (basso, voce, effetti), Erol Unala (chitarra, programming), Franco Sesa (batteria)
Dopo ben 16 anni di silenzio torna sulle scene una delle bands fondamentali per lo sviluppo del metal estremo tutto, i Celtic Frost.
Inutile stare qui a parlare di cosa è e di cosa rappresenta la band elvetica e soprattutto di quanto sia stata fondamentale negli anni ottanta, passando dall'heavy-thrash oscuro degli esordi fino ad arrivare con un album storico come "Into The Pandemonium" a coniare il termine "avantgarde" prima ancora che tante altre bands useranno negli anni novanta questo appellativo per inflazionare notevolmente il mercato metal.
A dire il vero ho avuto non poche remore psicologiche nell'avvicinarmi all'ascolto del nuovo "Monotheist"; dopotutto sedici anni di stop sono pur sempre un'immensità visti i tanti trend che sono passati dal 1990 ad oggi, e sinceramente una riproposizione copia-incolla di quanto fatto dai Celtic Frost in quegli anni sarebbe risultata piuttosto anacronistica quanto inopportuna.
Per fortuna già dall'ascolto delle prime note dell'album, si capisce come gli svizzeri siano orientati a proseguire sulla via dell' evoluzione bruscamente interrotta dopo "Vanity/Nemesis" riuscendo anche in maniera piuttosto disinvolta a rendere moderno ed attuale il sound.
Prima di parlare più specificamente dell'album colgo comunque l' occasione per fare i complimenti alla Noise, che pesca un'altra genialata incredibile per evitare la pirateria inserendo all'interno del promo un fastidiosissimo "beep" in sottofondo che ricompare ogni 20-30 secondi (!!!!!!) rendendo l'ascolto impossibile senza una pallina anti-stress o un punch-ball a portata di mano.
Tolto questo piccolo inconveniente, rimango piuttosto spiazzato all'ascolto dell'album in questione; la musica è pesante al punto giusto, il cantato di Warrior è sempre uguale ai bei tempi, grezzo e ruvido, ma quello che stupisce è soprattutto la musica che presenta un'attitudine doom piuttosto marcata.
E così è sin dall'ascolto dell' opener "Progeny" e della successiva "Ground" entrambe giocate subito su di un riffing oscuro e pesante che concede poco o nulla alla velocità in favore di un appeal più desolante, e molto probabilmente e questa assenza di pezzi più tirati che toglie qualcosa in più all'album.
Ma le due songs sono solo l'antipasto di ciò che si andrà ad ascoltare successivamente, e così la successiva "A Dying God Coming Into Human Flesh" porta decisamente all' estremo le influenze già citate partendo con un soffuso arpeggio di basso spezzato da un riff sabbathiano e da una progressione successiva che rende il brano in questione uno dei più interessanti dell' intero album.
L'appeal estremamente oscuro che rappresenta il tema portante dell'album e poi confermato in brani come "Drawn In Ashes", "Obscured" o la conclusiva "Incantation Against" lunga ma resa piuttosto interessante dall'utilizzo di una buona voce femminile, perfettamente interpretativa e non per questo pacchiana, nulla a che vedere con le classiche voci soprano simil-Nightwish.
Abbiamo parlato degli aspetti positivi di "Monotheist", è ora a questo punto di parlare anche del difetto principale dell'album ovvero come già detto dell'assenza di brani dotati della giusta aggressività e velocità che a dire il vero ci sarebbero pure - e parliamo di "My Domain Of Decay" e "Ain Elhohim" - che però purtroppo risultano piuttosto confusionarie nella loro foga.
Insomma un album che non fa gridare certo al miracolo, ma importante perchè ci riporta sulle scene una band storica che se dopo sedici anni di silenzio è stata capace di dare alla luce un album come questo e intraprendere una tale evoluzione sonora, lascia presagire importantissimi presupposti per il futuro.
(Full-lenght, Century Media, Maggio 2006)
Voto: 7,5/10
Genere: Doom/Gothic
Line-up: Thomas Gabriel Fischer (voce, chitarra, programming), Martin E.Ain (basso, voce, effetti), Erol Unala (chitarra, programming), Franco Sesa (batteria)
Dopo ben 16 anni di silenzio torna sulle scene una delle bands fondamentali per lo sviluppo del metal estremo tutto, i Celtic Frost.
Inutile stare qui a parlare di cosa è e di cosa rappresenta la band elvetica e soprattutto di quanto sia stata fondamentale negli anni ottanta, passando dall'heavy-thrash oscuro degli esordi fino ad arrivare con un album storico come "Into The Pandemonium" a coniare il termine "avantgarde" prima ancora che tante altre bands useranno negli anni novanta questo appellativo per inflazionare notevolmente il mercato metal.
A dire il vero ho avuto non poche remore psicologiche nell'avvicinarmi all'ascolto del nuovo "Monotheist"; dopotutto sedici anni di stop sono pur sempre un'immensità visti i tanti trend che sono passati dal 1990 ad oggi, e sinceramente una riproposizione copia-incolla di quanto fatto dai Celtic Frost in quegli anni sarebbe risultata piuttosto anacronistica quanto inopportuna.
Per fortuna già dall'ascolto delle prime note dell'album, si capisce come gli svizzeri siano orientati a proseguire sulla via dell' evoluzione bruscamente interrotta dopo "Vanity/Nemesis" riuscendo anche in maniera piuttosto disinvolta a rendere moderno ed attuale il sound.
Prima di parlare più specificamente dell'album colgo comunque l' occasione per fare i complimenti alla Noise, che pesca un'altra genialata incredibile per evitare la pirateria inserendo all'interno del promo un fastidiosissimo "beep" in sottofondo che ricompare ogni 20-30 secondi (!!!!!!) rendendo l'ascolto impossibile senza una pallina anti-stress o un punch-ball a portata di mano.
Tolto questo piccolo inconveniente, rimango piuttosto spiazzato all'ascolto dell'album in questione; la musica è pesante al punto giusto, il cantato di Warrior è sempre uguale ai bei tempi, grezzo e ruvido, ma quello che stupisce è soprattutto la musica che presenta un'attitudine doom piuttosto marcata.
E così è sin dall'ascolto dell' opener "Progeny" e della successiva "Ground" entrambe giocate subito su di un riffing oscuro e pesante che concede poco o nulla alla velocità in favore di un appeal più desolante, e molto probabilmente e questa assenza di pezzi più tirati che toglie qualcosa in più all'album.
Ma le due songs sono solo l'antipasto di ciò che si andrà ad ascoltare successivamente, e così la successiva "A Dying God Coming Into Human Flesh" porta decisamente all' estremo le influenze già citate partendo con un soffuso arpeggio di basso spezzato da un riff sabbathiano e da una progressione successiva che rende il brano in questione uno dei più interessanti dell' intero album.
L'appeal estremamente oscuro che rappresenta il tema portante dell'album e poi confermato in brani come "Drawn In Ashes", "Obscured" o la conclusiva "Incantation Against" lunga ma resa piuttosto interessante dall'utilizzo di una buona voce femminile, perfettamente interpretativa e non per questo pacchiana, nulla a che vedere con le classiche voci soprano simil-Nightwish.
Abbiamo parlato degli aspetti positivi di "Monotheist", è ora a questo punto di parlare anche del difetto principale dell'album ovvero come già detto dell'assenza di brani dotati della giusta aggressività e velocità che a dire il vero ci sarebbero pure - e parliamo di "My Domain Of Decay" e "Ain Elhohim" - che però purtroppo risultano piuttosto confusionarie nella loro foga.
Insomma un album che non fa gridare certo al miracolo, ma importante perchè ci riporta sulle scene una band storica che se dopo sedici anni di silenzio è stata capace di dare alla luce un album come questo e intraprendere una tale evoluzione sonora, lascia presagire importantissimi presupposti per il futuro.
Commenti
Posta un commento