Dopo aver recensito il suo nuovo album, "Vertuhn", abbiamo ritenuto necessario raggiungere il tuttofare del progetto Dramanduhr, Stefano Eliamo, per indagare su uno dei progetti più interessanti in ambito avantgarde black metal degli ultimi anni. Ecco cosa ci ha detto Stefano, buona lettura.
1 - Ciao e benvenuti! Cominciamo parlando in generale di "Vertuhn"
Ciao e grazie per l’ospitalità. Le dieci tracce che compongono Vertuhn sono state scritte poco dopo il primo album. Sebbene fossero già pronte da tempo, ho voluto aspettare il momento in cui sentissi un vero allineamento con l’Universo per pubblicarle e condividerle col mondo. In quel periodo non sapevo nemmeno se volessi davvero tornare a far parlare di me. Stavo attraversando una profonda crisi depressiva, qualcosa che purtroppo mi accompagna da sempre, riemergendo di tanto in tanto. Poi, una notte, sobbalzai dal letto e cominciai a camminare in tondo nella mia stanza. Decisi di mettermi le cuffie e riascoltare il secondo album di Dramanduhr. Fu lì che accadde qualcosa: le canzoni mi suonarono diverse, vive, come se mi stessero dicendo che erano pronte per essere presentate. Una voce interiore mi costrinse ad alzarmi, sedermi al computer e iniziare a progettare un concept visivo. Lo feci con fatica, trascinandomi, ma quella notte individuai il colore del disco: il blu notte. E proprio allora, nella mente, affiorò il titolo: Vertuhn — che era già il nome di una traccia della tracklist. Quel nome era perfetto: portava con sé il suono dell’autunno, dell’inverno, del ritiro interiore. Oscuro, chiuso, misterioso. Vertuhn era il nome che cercavo per tornare, per rinascere come Dramanduhr. Quanto ai brani, credo rappresentino una notevole evoluzione rispetto al disco d’esordio. Sono più oscuri, molto più complessi, stratificati. Aggiungono spessore e profondità al percorso iniziato con Tramohr, arricchendolo e portandolo verso una dimensione ancora più simbolica e viscerale.
2 - Quali sono le tue influenze musicali presenti e passate? E che ruolo hanno avuto nella composizione di "Vertuhn"?
Quando mi sono ritrovato a fare del metal, suonando per la prima volta basso e chitarra accordati in Re, i miei unici punti di riferimento erano i Rammstein, una band che ho avuto più volte il piacere di apprezzare anche dal vivo. Ma chi collaborava con me al progetto mi fece notare subito che ciò che stavo scrivendo non aveva nulla a che fare con la band tedesca, e che la mia musica andava in tutt’altra direzione. Spesso vengo accostato a diverse band metal, ma la verità è che molti dei nomi che leggo non li conoscevo nemmeno. Non li avevo mai ascoltati, perché la mia formazione, sia come musicista che come ascoltatore, è sempre stata pop. Non avevo — e in parte non ho tuttora — una vera cultura del mondo metal. In realtà, non ci sono influenze dirette: tutto è partito da zero, in modo istintivo. È stato un processo di esplorazione personale, senza modelli da seguire, solo con il bisogno di dare forma a qualcosa che avevo dentro.
3 - Parliamo dei testi, espressi con una lingua da te creata, ovvero il "Dahrmonium". Come mai questa scelta singolare?
Ricordo che quando stavo lavorando a Ixaltirud, la canzone che ha segnato la genesi di Dramanduhr, una volta terminata una bozza della base musicale, arrivò il momento di provare a cantarci sopra qualcosa. Provai, naturalmente, a improvvisare in inglese, ma non funzionava. Tentai con lo spagnolo, poi con l’italiano… ma niente. Allora decisi semplicemente di registrare una traccia vocale di prova, giusto per stabilire una metrica. Improvvisai delle parole, o meglio dei suoni, come parlerebbe un bambino che sta imparando a parlare. Con mio grande stupore, quella che doveva essere solo una traccia guida provvisoria, si rivelò essere il linguaggio giusto per quella base. Ebbi quasi paura nel pensare: “Quasi quasi la lascio così. Fanc*o! Sono un artista, se non faccio io quello che voglio, chi dovrebbe farlo? Dove sta scritto che devo per forza dire qualcosa?” Un mio caro amico mi disse: “Ma lo sai che questo che stai facendo è glossolalia?” All’inizio rimasi perplesso. Mi spiegò che la glossolalia è un fenomeno di linguaggio privo di significato apparente, spesso associato a stati mistici, trance o anche a disturbi mentali. Nella tradizione cristiana — soprattutto nel contesto pentecostale — è considerata una manifestazione dello Spirito Santo, una forma di linguaggio divino attraverso cui l’anima si rivolge direttamente a Dio, al di là della razionalità. In quel momento ebbi una vera e propria epifania. Non stavo semplicemente emettendo suoni: mi sentivo connesso, più che mai, a qualcosa di più grande. A Dio, forse. O a una dimensione altra, primitiva, sacra. Provai un senso di libertà indescrivibile e decisi che avrei continuato su quella strada, pur sapendo quanto fosse folle e difficile da spiegare. Dramanduhr è nato così: come pura follia.
4 - Da quanto esiste Dramanduhr e come è nato il progetto?
La prima bozza del brano che poi sarebbe diventato Ixaltirud nacque nel periodo conclusivo della pandemia. Non escludo che quel tempo sospeso, in cui il mondo intero si era fermato, mi abbia aiutato a trovare uno spazio mentale che non avevo mai conosciuto prima. Per la prima volta mi sentivo libero creativamente. Era il periodo natalizio quando improvvisai un’idea che inizialmente avevo chiamato “Idea Post Mortem”. Avevo da poco prodotto un progetto indie-pop e mi sentivo svuotato — come spesso mi accade quando porto a termine un percorso artistico: quando smetto di scrivere, per stanchezza o per saturazione, mi sento inutile, come morto. Ma fu il 25 dicembre di quell’anno, durante un banalissimo evento domestico, che esplose in me una rabbia atavica, viscerale. Quell’energia scardinò qualcosa dentro di me. “Idea Post Mortem” si trasformò in Ixaltirud. Scrissi un altro paio di brani, e capii che non si trattava solo di canzoni isolate, ma dell’inizio di qualcosa che avrebbe avuto una sua traiettoria autonoma. Dovevo darle un nome, un’identità. Era una creatura nuova, e si stava muovendo da sola. Durante una delle mie solite notti insonni, mentre camminavo in tondo nella stanza, iniziai a blaterare suoni: rumb, dram, drum, dur — cercavo qualcosa che evocasse un boato, una detonazione. Poi, guardando un angolo vuoto della mia libreria, pronunciai il nome Dramandur. Lo scrissi e aggiunsi una h per dargli una forma più arcana e più evocativa, e così nacque Dramanduhr: una nuova identità, un nuovo me stesso.
5 - Come pensi che si evolverà il tuo sound in futuro?
Sebbene il punto di partenza sia il metal, il mio intento è quello di esplorare altri territori sonori, restando però sempre fedele a me stesso e all’identità di Dramanduhr. Vertuhn già rappresenta un’evoluzione rispetto all’esordio: in molti brani intervengono due chitarre, c’è elettronica, e c’è anche una forte componente folk, con strumenti e atmosfere che richiamano il Mediterraneo arcaico. Ho già in programma un terzo album, e quello che sto cercando di fare è mantenere la mia firma, senza però correre il rischio di ripetermi. So che è difficilissimo: la ripetizione è una trappola sempre in agguato, soprattutto quando si cerca coerenza stilistica.
6 - Se dovessi convincere un nuovo ascoltatore a scegliere la tua musica e a scoprirla, come cercheresti di convincerlo?
Gli direi: ascolta Dramanduhr se hai bisogno di varcare una soglia. Se cerchi qualcosa che non ti dia risposte facili, ma che ti accompagni dentro un rito, un viaggio interiore, magari anche scomodo, ma autentico. Non è musica da playlist, né da consumo rapido. È un’esperienza, un paesaggio sonoro che non ti prende per mano, ma ti chiama. È fatta di lava, vento, voci arcaiche, e parla una lingua che non devi capire, ma solo sentire. Se senti che qualcosa dentro di te ha bisogno di un passaggio simbolico, di scendere o ascendere, allora potresti trovare qui un riflesso di te che non conoscevi. Non è musica per tutti. Ma se sei arrivato fin qui, forse è per te.
7 - A livello di live stai pianificando qualcosa di importante?
Al momento no. Dramanduhr è un progetto da studio, nato come one man band e concepito per esistere principalmente in forma intima, rituale, introspettiva. La sua forza nasce proprio dall’isolamento creativo, dalla possibilità di costruire ogni dettaglio sonoro con precisione maniacale, senza compromessi. Detto questo, non escludo che in futuro possano nascere forme di performance alternative, magari in contesti non convenzionali: spazi sacri, naturali o simbolici, dove il live possa diventare un vero rito immersivo, più vicino al teatro o alla performance art che al concerto tradizionale. Ma per ora, Dramanduhr vive e respira nello studio. È lì che si manifesta la sua voce più autentica.
8 - Il sogno più grande per te come musicista qual è?
Credo che il mio sogno più grande sia lasciare un segno, un’eredità artistica che sopravviva a me stesso. Vorrei che un giorno, magari per caso, qualcuno trovasse il mio materiale, si imbattesse in un album, in un nome, in un simbolo… e che quel nome fosse ancora in giro. Anche un segno minuscolo nel mondo, come questa intervista che resterà indicizzata nei motori di ricerca, partecipa alla realizzazione concreta di quel sogno. È un seme. Inoltre, vorrei essere ricordato per aver donato qualcosa di originale, qualcosa che non cercasse il consenso facile ma che provasse davvero a parlare con una voce propria. So bene che l’originalità, oggi, è una sfida enorme. È facilissimo cadere nella banalità, o peggio ancora nella copia inconsapevole. Ma credo che Dramanduhr stia facendo di tutto per evitare questo rischio, cercando sempre una via personale, autentica, necessaria.
9 - A te le ultime parole. Un saluto!
Vi ringrazio sinceramente per lo spazio e per l’ascolto. Dramanduhr non è solo un progetto musicale, ma un cammino spirituale e artistico che cerco di onorare con dedizione e fedeltà, giorno dopo giorno. Il nuovo album Vertuhn è disponibile su tutti i digital stores, ma anche in versione CD e digitale su Bandcamp. Grazie ancora di cuore. A presto!
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