THE SHOWDOWN - "Blood in the Gears"
(Full-lenght, Solid State Records, Agosto 2010)
Voto: 6,5/10
Genere: Southern/Thrash
Line-up: Jeremiah Scott (basso), Patrick Judge (chitarra), Josh Childers (chitarra), David Bunton (voce), Yogi Watts (batteria)
Quarto album in studio per i The Showdown combo americano alle prese con un southern/thrash metal tosto e d’impatto, che fonde tanto l’aspetto più marcatamente rockettaro dei Black Label Society quanto quel groove più tipico di Lamb of God e compagnia varia.
Blood in the Gears è un album carino, che certamente non contiene brani che resteranno impressi nella memoria ma che tutto sommato regala all’ascoltatore quaranta minuti di musica genuina, potente e tamarra il giusto.
Da quando il quartetto del Tennessee ha abbandonato le proprie influenze marcatamente metalcore i miglioramenti sono evidenti e se prima ascoltare un loro lavoro ed andare oltre il secondo brano era un’impresa oggi invece è soprattutto l’aspetto dell’intrattenimento a balzare all’orecchio.
L’album si apre nella maniera più classica e feticcia per ogni amante del genere, con il rombo del motore di una Harley che si trasforma improvvisamente nel riffing portante dell’opener A Man Named Hell che non ha paura di pestare grazie ad un chitarrismo grasso ed al growl del singer David Bunton che lascia spazio ad un refrain più melodico di sicura presa.
Innegabile la predilezione della band per tempi non particolarmente forsennati ed un chitarrismo roccioso e incontaminatamente southern.
Piccole eccezioni a parte, come la velocissima e selvaggia Bring it Down, è su queste coordinate di base che si staglia la musica dei The Showdown.
E benchè fondamentalmente l’aspetto power/thrashettone è quello che maggiormente si evince dall’ascolto, neanche interessanti passaggi verso altri generi più "mainstream" vengono risparmiati, esempio lampante l’interessantissima Take Me Home decisamente più rock-oriented e tranquillamente accomunabile al post-grunge degli Alter Bridge.
Un album discreto insomma, che malgrado qualche punto morto sparso nei quaranta minuti di durata, rappresenta comunque un lavoro valido e stilisticamente ben fatto.
Track-list:
01. Man Named Hell
02. Heavy Lies the Crown
03. Bring It Down
04. Take Me Home
05. Blood in the Gears
06. Dogma Enthroned
07. No Escape
08. The Crooked Path
09. Graveyard of Empires
10. Diggin' My Own Grave
(Full-lenght, Solid State Records, Agosto 2010)
Voto: 6,5/10
Genere: Southern/Thrash
Line-up: Jeremiah Scott (basso), Patrick Judge (chitarra), Josh Childers (chitarra), David Bunton (voce), Yogi Watts (batteria)
Quarto album in studio per i The Showdown combo americano alle prese con un southern/thrash metal tosto e d’impatto, che fonde tanto l’aspetto più marcatamente rockettaro dei Black Label Society quanto quel groove più tipico di Lamb of God e compagnia varia.
Blood in the Gears è un album carino, che certamente non contiene brani che resteranno impressi nella memoria ma che tutto sommato regala all’ascoltatore quaranta minuti di musica genuina, potente e tamarra il giusto.
Da quando il quartetto del Tennessee ha abbandonato le proprie influenze marcatamente metalcore i miglioramenti sono evidenti e se prima ascoltare un loro lavoro ed andare oltre il secondo brano era un’impresa oggi invece è soprattutto l’aspetto dell’intrattenimento a balzare all’orecchio.
L’album si apre nella maniera più classica e feticcia per ogni amante del genere, con il rombo del motore di una Harley che si trasforma improvvisamente nel riffing portante dell’opener A Man Named Hell che non ha paura di pestare grazie ad un chitarrismo grasso ed al growl del singer David Bunton che lascia spazio ad un refrain più melodico di sicura presa.
Innegabile la predilezione della band per tempi non particolarmente forsennati ed un chitarrismo roccioso e incontaminatamente southern.
Piccole eccezioni a parte, come la velocissima e selvaggia Bring it Down, è su queste coordinate di base che si staglia la musica dei The Showdown.
E benchè fondamentalmente l’aspetto power/thrashettone è quello che maggiormente si evince dall’ascolto, neanche interessanti passaggi verso altri generi più "mainstream" vengono risparmiati, esempio lampante l’interessantissima Take Me Home decisamente più rock-oriented e tranquillamente accomunabile al post-grunge degli Alter Bridge.
Un album discreto insomma, che malgrado qualche punto morto sparso nei quaranta minuti di durata, rappresenta comunque un lavoro valido e stilisticamente ben fatto.
Track-list:
01. Man Named Hell
02. Heavy Lies the Crown
03. Bring It Down
04. Take Me Home
05. Blood in the Gears
06. Dogma Enthroned
07. No Escape
08. The Crooked Path
09. Graveyard of Empires
10. Diggin' My Own Grave
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