CHAOSWAVE - "Dead Eye Dreaming"
(Full-lenght, Nightmare Records, Novembre 2008)
Voto: 6/10
Genere: Progressive/Groove
Line-up: Raphael Saini (batteria), Michele Mura (basso), Henrik Rangstrup (chitarra), Giorgia Fadda (voce femminile), Fabio Carta (voce)
“Modern Metal for the New Generation”. Viene presentato così, in pompa magna, il secondo full dei Chaoswave giovane combo sardo che ha ricevuto per l’occasione nientemeno che la benedizione di Steve Smyth (ex Nevermore, Testament e Forbidden) che addirittura presta la sua opera alla chitarra anche in tre brani.
“Dead Eye Dreaming farà scuotere la testa a molti quest’anno!!”, queste le testuali parole del chitarrista americano a proposito dell’album in questione, ma sinceramente tutte queste teste… non le vedo in giro.
A parte tutto, i Chaoswave che ci vengono anche presentati sempre dall’etichetta stessa come una versione più aggressiva dei Lacuna Coil sono dopotutto una band onesta.
Tanto per iniziare fughiamo subito i dubbi sul presunto accostamento dei Chaoswave alla band di Scabbia e soci, definizione quella citata che giudicherei limitativa vista la proposta e per certi versi più buttata là per far avvicinare più gente possibile al disco che altro.
In verità la band nostrana è dedita ad un concetto estremamente moderno di metal sì, ma più accostabile a qualcosa di maggiormente “estremo”, thrash metal su tutto non disdegnando puntatine in territori più affini a Nevermore (soprattutto) e per certi versi Meshuggah non fosse altro per la massiccia presenza di tempi dispari e soprattutto l’audacia con cui i Chaoswave pigiano sull’acceleratore creando un muro sonoro davvero non indifferente.
Orientati su un alternanza al microfono tra la voce maschile di Fabio Carta (principalmente) e quella femminile di Giorgia Fadda (leggermente in secondo piano) il risultato è dunque un album che sa lasciarsi ascoltare con tranquillità, dotato di una produzione stratosferica del resto curata da un certo Andy Larocque (Mercyful Fate) e scusate se è poco…
Da un punto di vista musicale dunque valgono i discorsi già fatti se non altro per citare il mood generale che permea gli interi 60 minuti circa di durata, e dunque riff potenti, corposi ed ultramoderni, un grandissimo lavoro di basso ed un’alternanza discreta di atmosfere che però in generale non riescono comunque a giustificare totalmente la durata del lavoro a mio parere eccessiva che forse troppe volte tende a far calare l’attenzione.
I brani variano da alcuni più diretti ed accattivanti, su tutte l’opener “10 Years of Denial” in cui è la melodia del refrain centrale a farla da padrone, ad altri più complessi e per certi versi oscuri come in “A March for the Dying” mid-tempo guidata dal riffing cupo (opera qui di Smyth) ed una prestazione devastante dietro le pelli del drummer Raphael Saini, brano questo che nei suoi quasi sette minuti di durata rappresenta uno dei – purtroppo pochi – brani in cui la voce femminile di Giorgia Fadda mostra realmente le sue potenzialità, timbrica molto calda e ben lontana da ogni tentazione “operistica” da sempre iper-inflazionata in ambito metal.
Non dimenticherei di citare neppure “How to Define a Race” brano più tendente al crossover classico, l’evocativa “Rise” o ancora “Two Shadows” altro brano maggiormente improntato sul cantato femminile che non sfigura assolutamente, anzi.
Come già detto i difetti del lavoro sono da ricercarsi nella forse eccessiva durata complessiva che porta i nostri ad inserire all’interno del lavoro alcuni brani che sembrano più ‘riempitivi’ che brani di un certo spessore… uno di questi è “Fork Tongues and Foul Times” (anche qui c’è lo zampino di Smyth alla chitarra ma con risultati ben diversi dalla già citata “A March for the Dying”), stesso discorso vale per “Blind Eye Focus” il cui difetto principale è quello di non riuscire a trovare una sua strada sempre a cavallo tra appeal aggressivo e melodia, alla fine di buono non c’è nè l’uno nè tantomeno l’altro.
Al tirare delle somme però non si può certo bocciare l’album che sicuramente non consiglio per nulla ai più tradizionalisti, ma che potrebbe sicuramente rappresentare un degno ascolto per gli amanti di sonorità molto più moderne… Del resto lo stesso Smyth ha dato la sua benedizione, sta a voi decidere.
Track-list:
01. 10 Years of Denial
02. Fork Tongues and Foul Times
03. How to Define a Race
04. A March for the Dying
05. Another Lie to Live in Vain
06. Blind Eye Focus
07. Dead Eye Dream
08. Rise
09. Picture Perfect
10. Two Shadows
11. The Evident
(Full-lenght, Nightmare Records, Novembre 2008)
Voto: 6/10
Genere: Progressive/Groove
Line-up: Raphael Saini (batteria), Michele Mura (basso), Henrik Rangstrup (chitarra), Giorgia Fadda (voce femminile), Fabio Carta (voce)
“Modern Metal for the New Generation”. Viene presentato così, in pompa magna, il secondo full dei Chaoswave giovane combo sardo che ha ricevuto per l’occasione nientemeno che la benedizione di Steve Smyth (ex Nevermore, Testament e Forbidden) che addirittura presta la sua opera alla chitarra anche in tre brani.
“Dead Eye Dreaming farà scuotere la testa a molti quest’anno!!”, queste le testuali parole del chitarrista americano a proposito dell’album in questione, ma sinceramente tutte queste teste… non le vedo in giro.
A parte tutto, i Chaoswave che ci vengono anche presentati sempre dall’etichetta stessa come una versione più aggressiva dei Lacuna Coil sono dopotutto una band onesta.
Tanto per iniziare fughiamo subito i dubbi sul presunto accostamento dei Chaoswave alla band di Scabbia e soci, definizione quella citata che giudicherei limitativa vista la proposta e per certi versi più buttata là per far avvicinare più gente possibile al disco che altro.
In verità la band nostrana è dedita ad un concetto estremamente moderno di metal sì, ma più accostabile a qualcosa di maggiormente “estremo”, thrash metal su tutto non disdegnando puntatine in territori più affini a Nevermore (soprattutto) e per certi versi Meshuggah non fosse altro per la massiccia presenza di tempi dispari e soprattutto l’audacia con cui i Chaoswave pigiano sull’acceleratore creando un muro sonoro davvero non indifferente.
Orientati su un alternanza al microfono tra la voce maschile di Fabio Carta (principalmente) e quella femminile di Giorgia Fadda (leggermente in secondo piano) il risultato è dunque un album che sa lasciarsi ascoltare con tranquillità, dotato di una produzione stratosferica del resto curata da un certo Andy Larocque (Mercyful Fate) e scusate se è poco…
Da un punto di vista musicale dunque valgono i discorsi già fatti se non altro per citare il mood generale che permea gli interi 60 minuti circa di durata, e dunque riff potenti, corposi ed ultramoderni, un grandissimo lavoro di basso ed un’alternanza discreta di atmosfere che però in generale non riescono comunque a giustificare totalmente la durata del lavoro a mio parere eccessiva che forse troppe volte tende a far calare l’attenzione.
I brani variano da alcuni più diretti ed accattivanti, su tutte l’opener “10 Years of Denial” in cui è la melodia del refrain centrale a farla da padrone, ad altri più complessi e per certi versi oscuri come in “A March for the Dying” mid-tempo guidata dal riffing cupo (opera qui di Smyth) ed una prestazione devastante dietro le pelli del drummer Raphael Saini, brano questo che nei suoi quasi sette minuti di durata rappresenta uno dei – purtroppo pochi – brani in cui la voce femminile di Giorgia Fadda mostra realmente le sue potenzialità, timbrica molto calda e ben lontana da ogni tentazione “operistica” da sempre iper-inflazionata in ambito metal.
Non dimenticherei di citare neppure “How to Define a Race” brano più tendente al crossover classico, l’evocativa “Rise” o ancora “Two Shadows” altro brano maggiormente improntato sul cantato femminile che non sfigura assolutamente, anzi.
Come già detto i difetti del lavoro sono da ricercarsi nella forse eccessiva durata complessiva che porta i nostri ad inserire all’interno del lavoro alcuni brani che sembrano più ‘riempitivi’ che brani di un certo spessore… uno di questi è “Fork Tongues and Foul Times” (anche qui c’è lo zampino di Smyth alla chitarra ma con risultati ben diversi dalla già citata “A March for the Dying”), stesso discorso vale per “Blind Eye Focus” il cui difetto principale è quello di non riuscire a trovare una sua strada sempre a cavallo tra appeal aggressivo e melodia, alla fine di buono non c’è nè l’uno nè tantomeno l’altro.
Al tirare delle somme però non si può certo bocciare l’album che sicuramente non consiglio per nulla ai più tradizionalisti, ma che potrebbe sicuramente rappresentare un degno ascolto per gli amanti di sonorità molto più moderne… Del resto lo stesso Smyth ha dato la sua benedizione, sta a voi decidere.
Track-list:
01. 10 Years of Denial
02. Fork Tongues and Foul Times
03. How to Define a Race
04. A March for the Dying
05. Another Lie to Live in Vain
06. Blind Eye Focus
07. Dead Eye Dream
08. Rise
09. Picture Perfect
10. Two Shadows
11. The Evident
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